COROLLARIO
Di tutto l'orrore di cui si potrebbe parlare non c'è bisogno di dire una parola in più. C'è chi farebbe eco ad un volo di zanzara, fino a renderlo lo stridere di un falco. Un amore finito non ha speranza, non ha ragioni e si nutre del presente, rubando da esso energie per alimentare un passato ormai estinto, defunto. L'estasi del sesso, l'esotismo di un viaggio, la purezza di un gesto, la forma delle natiche, il colore sincero degli occhi, la forza di una parola, la quiete di una passeggiata, la consistenza dei capelli, l'assoluto del profumo della pelle, il suono della voce, la perfezione di un bacio e tutta la bellezza dei momenti vissuti, per quanto irripetibili, non varrà mai nemmeno un milionesimo di quello che ora e qui sta scorrendo nelle mie membra, del mio sangue e del mio essere vivo, bestia umana (o fracchianamente belva umana). Il dolore proviene dal fatto che lei, ormai nemmeno più un nome, è già di un altro, un altro uomo o un altro sogno conta poco e forse è la stessa cosa. Ma è un dolore leggero, come quello di un passo controtempo in corsa. É dettato dalla sorpresa, in effetti, di trovarsi in una condizione decisamente inattesa, inaspettata. Si fa presto a lasciare un tempo di incertezze per rincorrere nuove strade, quando non rimane nulla per cui lottare. Rimangono due sconosciuti, che non si cercano più, o che, se si cercano, lo fanno con la pretesa di sapere qualcosa, con il conto da pagare, o con una supplica da codardo. Nulla è più come prima e tutto è rimasto uguale. Gli stessi bambini di sempre giocano a fare i grandi. Il futuro adesso non conta più nulla, se non altro nella prospettiva del giorno prima. Lei, quella in cui erano riposte fiducia e speranze, non esiste più e forse non è mai esistita. Un sogno, un'illusione dettata dal delirio di un sole cocente, accecante, ma di effimera durata. Restava il tormento per una passeggiata affrontata con un bagaglio troppo pesante di sogni, certezze, desideri. Il peso di tutte le belle sensazioni di un tempo, di quel dolce fardello di responsabilità ed ideali, che ormai sembra inutile continuare a tirarsi dietro. Mi sono detto, tempo fa: “mille donne non valgono la bellezza di un giorno senza responsabilità, senza l'assillo del futuro incombente, ma forse una sola sì.” Delirio monoteistico da prete scomunicato. Amare e progettare non hanno nulla in comune.
Mi chiedo, con il cuore pieno di nero, cosa sia cambiato per me, ora che il futuro è un crocevia di svolte obbligate, di “se” e di “ma”. E mi rispondo “nulla”. Sono sempre e da sempre lo stesso emigrante, che tenta di scampare al proprio destino inconsapevolmente, solo per inseguire ancora un giorno una libertà più lontana di un altro pianeta. Sono ancora in viaggio, come sempre. E si tratta solo e sempre di incontri fortuiti, fra una stazione e l'altra. Incontri di una bellezza estenuante a volte. Spesso destinati a restare solo momenti fra una tappa e l'altra, giusto per farsi compagnia, spesso attesi, spesso deludenti, alle volte magici e sorprendenti, quasi sempre alieni o strani. Ero un viaggiatore anche prima di partire, mentre aspettavo un treno col mio biglietto in mano. Alle volte il proprio compagno di viaggio è così speciale che ci si dimentica di scendere. Si pensa di essere ormai arrivati, di poter scambiare i biglietti. E tuttora mi scontro con la mia leggerezza di personaggio, con i miei frammenti passati di quotidianità, di debiti materiali e non. Mi ostino a pagare per un passato che, in fondo, non mi è mai appartenuto. C'è qualcuno che ne raccoglie sempre le briciole, i resti, i cocci e che si infonde coraggio vivendone gli scampoli esenti da quell'unità e quell'unicità che a stento io sono arrivato a contemplare. Al di là della mia presunzione vana, quello che conta è il tempo, che ha i suoi tempi. Li si può pure violare, ma senza stile ogni violazione è un banale furto. Domani, forse, torneranno a pesare quei rassicuranti fardelli di un'onestà pretesa, di una fedeltà scontata, di una scelta coerente, ma oggi, ora, voglio vivere la leggerezza di un Ti con zero di un tramonto senz'alba, anzi senza notte. La forza di un momento, di un minuto sincero con una sconosciuta resterà sempre più forte di mille giorni di finzione con “la donna della mia vita”. Dei concetti umanizzanti di questa civiltà mi rimane ben poco e quasi nulla di ciò che chiamavo “amore”. Restano i miei momenti vissuti con quella donna sconosciuta, ignota, che già è tornata ad essere tale, che forse non è mai stata altro che tale. Illudersi di conoscere e di sapere è umano ed è forse il più grande errore che si possa fare su questa terra. A volte costa persino la vita.
Mi sono illuso di conoscere, di sapere chi sono, di avere certezze su di me. Così ho scambiato parte del mio essere con l'avere qualcosa, per quanto ideale ed effimero, o qualcuno, per quanto captivo (o cattivo). Ora sono me stesso senza dover rendere conto. Ora quello che posso conta poco rispetto a ciò che voglio, rispetto al “momento giusto”. E di momenti giusti ce ne sono molti, forse troppi. Un corpo di donna è solo un ammasso di sangue e cellule vive, tanto quanto il mio sesso, il mio cuore, le mie mani, ma il loro fluire nel tempo e nello spazio determina ogni concetto, ogni realtà. Siamo e resteremo ruderi e frammenti di cose più grandi di noi. Come tali ne ribadiamo l'esistenza senza neppure conoscerne il perché, senza mai eguagliarne la qualità, sempre ridotti ad uno scarto numerico, alle nostre quantità. Remiamo contro o a favore sospinti da forze di cui solo a tratti possiamo essere consapevoli. Testardi od arrendevoli, l'unica vera ostinazione è quella a vivere, a ritmi sempre diversi da quelli che conosciamo. Ma la novità di un battito simultaneo è unica, speciale, mistica. Non servono spiegazioni per quello. Chi l'ha vissuta ne conosce il senso profondo. Non è una folgorazione, piuttosto il lento risveglio da un sogno che sembrava fin troppo reale, forse in treno. In anni di amore, di vita, momenti così me ne restano pochi, e ne ricordo ancor meno. E non ne ho compreso nessuno. La presunzione di capire è per coloro che non hanno mai amato. Io continuo a danzare di nascosto, sospinto dalla corrente di ciò che di selvatico rimane, dal meglio che deve ancora venire. Presto! A me un altro ritmo, un altro corso, un altro corpo, per poter godere di incantesimi, spari e petardi. Il mio viaggio mai finito ricomincia. C'è chi sale e c'è chi scende. Gli altri sono una festa, una sorpresa, un sogno, un amore, una lite, una fuga. Gli altri sono tutto e sono tanti. E non c'è tempo per stare fermi, che fuori non è mai lo stesso. Perciò sono capace di perdonare, odiando, di amare, vendicandomi. Perciò, soprattutto, sono capace di lasciar stare, di lasciar andare e di guardare fuori. Viaggiare richiede grande equilibrio e difficilmente si rimane soli, anche quando si sceglie di restare in disparte. In fondo è difficile amare altro che se stessi, ma è facile dare di se ciò che si ama.
Mi chiedo, con il cuore pieno di nero, cosa sia cambiato per me, ora che il futuro è un crocevia di svolte obbligate, di “se” e di “ma”. E mi rispondo “nulla”. Sono sempre e da sempre lo stesso emigrante, che tenta di scampare al proprio destino inconsapevolmente, solo per inseguire ancora un giorno una libertà più lontana di un altro pianeta. Sono ancora in viaggio, come sempre. E si tratta solo e sempre di incontri fortuiti, fra una stazione e l'altra. Incontri di una bellezza estenuante a volte. Spesso destinati a restare solo momenti fra una tappa e l'altra, giusto per farsi compagnia, spesso attesi, spesso deludenti, alle volte magici e sorprendenti, quasi sempre alieni o strani. Ero un viaggiatore anche prima di partire, mentre aspettavo un treno col mio biglietto in mano. Alle volte il proprio compagno di viaggio è così speciale che ci si dimentica di scendere. Si pensa di essere ormai arrivati, di poter scambiare i biglietti. E tuttora mi scontro con la mia leggerezza di personaggio, con i miei frammenti passati di quotidianità, di debiti materiali e non. Mi ostino a pagare per un passato che, in fondo, non mi è mai appartenuto. C'è qualcuno che ne raccoglie sempre le briciole, i resti, i cocci e che si infonde coraggio vivendone gli scampoli esenti da quell'unità e quell'unicità che a stento io sono arrivato a contemplare. Al di là della mia presunzione vana, quello che conta è il tempo, che ha i suoi tempi. Li si può pure violare, ma senza stile ogni violazione è un banale furto. Domani, forse, torneranno a pesare quei rassicuranti fardelli di un'onestà pretesa, di una fedeltà scontata, di una scelta coerente, ma oggi, ora, voglio vivere la leggerezza di un Ti con zero di un tramonto senz'alba, anzi senza notte. La forza di un momento, di un minuto sincero con una sconosciuta resterà sempre più forte di mille giorni di finzione con “la donna della mia vita”. Dei concetti umanizzanti di questa civiltà mi rimane ben poco e quasi nulla di ciò che chiamavo “amore”. Restano i miei momenti vissuti con quella donna sconosciuta, ignota, che già è tornata ad essere tale, che forse non è mai stata altro che tale. Illudersi di conoscere e di sapere è umano ed è forse il più grande errore che si possa fare su questa terra. A volte costa persino la vita.
Mi sono illuso di conoscere, di sapere chi sono, di avere certezze su di me. Così ho scambiato parte del mio essere con l'avere qualcosa, per quanto ideale ed effimero, o qualcuno, per quanto captivo (o cattivo). Ora sono me stesso senza dover rendere conto. Ora quello che posso conta poco rispetto a ciò che voglio, rispetto al “momento giusto”. E di momenti giusti ce ne sono molti, forse troppi. Un corpo di donna è solo un ammasso di sangue e cellule vive, tanto quanto il mio sesso, il mio cuore, le mie mani, ma il loro fluire nel tempo e nello spazio determina ogni concetto, ogni realtà. Siamo e resteremo ruderi e frammenti di cose più grandi di noi. Come tali ne ribadiamo l'esistenza senza neppure conoscerne il perché, senza mai eguagliarne la qualità, sempre ridotti ad uno scarto numerico, alle nostre quantità. Remiamo contro o a favore sospinti da forze di cui solo a tratti possiamo essere consapevoli. Testardi od arrendevoli, l'unica vera ostinazione è quella a vivere, a ritmi sempre diversi da quelli che conosciamo. Ma la novità di un battito simultaneo è unica, speciale, mistica. Non servono spiegazioni per quello. Chi l'ha vissuta ne conosce il senso profondo. Non è una folgorazione, piuttosto il lento risveglio da un sogno che sembrava fin troppo reale, forse in treno. In anni di amore, di vita, momenti così me ne restano pochi, e ne ricordo ancor meno. E non ne ho compreso nessuno. La presunzione di capire è per coloro che non hanno mai amato. Io continuo a danzare di nascosto, sospinto dalla corrente di ciò che di selvatico rimane, dal meglio che deve ancora venire. Presto! A me un altro ritmo, un altro corso, un altro corpo, per poter godere di incantesimi, spari e petardi. Il mio viaggio mai finito ricomincia. C'è chi sale e c'è chi scende. Gli altri sono una festa, una sorpresa, un sogno, un amore, una lite, una fuga. Gli altri sono tutto e sono tanti. E non c'è tempo per stare fermi, che fuori non è mai lo stesso. Perciò sono capace di perdonare, odiando, di amare, vendicandomi. Perciò, soprattutto, sono capace di lasciar stare, di lasciar andare e di guardare fuori. Viaggiare richiede grande equilibrio e difficilmente si rimane soli, anche quando si sceglie di restare in disparte. In fondo è difficile amare altro che se stessi, ma è facile dare di se ciò che si ama.
2 Comments:
At 12:12 PM,
Unknown said…
"Continuo a muovermi
continuiamo a muoverci
e la distanza non cambia
la luce non serve
la prospettiva non serve
il suono non serve
perché non serve guardare
per vedere
non serve ascoltare
per sentire
La senti la voce da lontano
che chiama piano
che prova a ricordarti cosa siamo
la forma delle cose che diciamo
la forma
e il ruolo che da sempre recitiamo
quest'ARIA che ti passa sulla facci
l'odore della preda
quello dell'uomo che la caccia
la senti l'atmosfera sovraccarica
arriverà la pioggia
e non è l'unica minaccia
la luce non serve
la prospettiva non serve
il suono
Lo senti questo vago avvertimento
lo sguardo che si posa, lento
inerte al cambiamento della luce
la vedi questa sagoma sottile in controluce
e come scivola veloce sui tuoi fianchi
lo vedi, lo senti
questo respiro trattenuto tra i miei denti
che come i sogni
sono sempre più distanti
Sono io
sono io
sono io
sono io
e non ci sono scelte, la logica è continuare
perfino nello spazio più immobile, continuare
continuo a muovermi
continuiamo a muoverci
e la distanza non cambia
non cambia
Riesci a vedere nei silenzi
il motivo per cui danzi
la collera che abitualmente scansi
i fanali posteriori della macchina che ti stava davanti
scomparsa nella nebbia
e tu rallenti
ancora non la senti
la voce che ripete ciecamente
"chiudere gli occhi
non ha mai cambiato niente!"
Essere insensibili agli ostacoli e continuare
completamente insensibili agli ostacoli e continuare
continuare
continuare
continuare
continuare
continuare
continuare
continuare "
D.Silvestri ("Sono Io", da "Sig. Dapatas")
Sono qui, quando e sempre..
Moscocop
At 3:58 PM,
Anonimo said…
ciao ciaooo baambiiiiiiinaaaaa
e poi cosa dice? non lo capisco mai, quando lo dice in tv su rai gulp
Posta un commento
<< Home